ECCO ALCUNE VERSIONI, BUONA COPIA!

QUESTE SONO SOLO POCHE QUANDO AVRO TEMPO METTERO LE ALTRE!

Virtù e vizi di Temistocle

I vizi dell'ateniese Temistocle al cominciare della giovinezza sono compensati dalle grandi virtù, al punto che nessuno è anteposto a questo, pochi sono giudicati alla pari. Suo padre Neocle fu nobile. Egli prese moglie una cittadoina acarnanica, dalla quale nacque Temistocle. Il quale essendo meno apprezzato dai genitori, sia perché viveva troppo liberamente, sia perché trascurava il patrimonio familiare, fu diseredato dal padre. L'affronto non lo sconfisse, ma lo incoraggiò. Infatti, avendo ritenuto che senza un'elevata attività esso non poteva venir meno, si dedicò completamente alla repubblica, avendo più diligentemente cura degli amici e della fama. Spesso prendeva parte ai processi privati, spesso appariva nell'assemblea del popolo; nessuna questione importante veniva condotta senza di lui; velocemente trovava quelle cose che erano necessarie, spiegava facilmente con la stessa orazione, e non era meno esperto nelle cose amministrative che in quelle da escogitare poiché sia sapeva valutare giustamente le cose presenti, come dice Tucidide, sia congetturava accortamente su quelle future.

Titolo: Versatilità di Lucullo

Testo latino: disponibile a richiesta

Traduzione:

Lucio Lucullo, inviato dal senato alla guerra contro Mitridate, non solo prevalse la fama di tutti, ma anche la gloria dei comandanti precedenti. E ciò fu più ammirevole poiché la lode del comando non era aspettata per nulla da lui, che aveva trascorso l'adolescenza in pace nell'avvocatura. Ma una certa incredibile grandezza d'ingegno non richiese il tirocinio. E così, dopo aver compiuto tutto il viaggio e la navigazione tra l'Italia e l'Asia in parte consultandosi con gli esperti, in parte leggendo le imprese di guerra, giunse in Asia come comandante, benché fosse partito da Roma inesperto di arte militare. Ebbe anche una certa memoria dei fatti quasi divina. E così, come noi affidiamo agli scritti ciò che vogliamo assicurare ai ricordi, così quello aveva le cose impresse nell'animo. In egli stesso vi fu una così grande abilità nel regolare e placare le città, una così grande moderazione che ancor oggi l'Asia si regge osservando le istituzioni e quasi seguendo le orme di Lucullo.

Il Lupo e l'Agnello

Il lupo e l'agnello erano giunti allo stesso rivo spinti dalla sete. Il lupo stava più in alto, l'agnello molto più in basso. Ed ecco che quel brigante, eccitato dalla gola insaziabile, mise in campo il pretesto di lite. "Perché" disse, "hai reso torbida l'acqua a me che bevo?". Replicò l'agnellino, spaventato: "Come potrei, di grazia, far ciò di cui ti lagni, lupo? L'acqua parte da te e poi scende alla mia bocca". Sconfitto dalla forza della verità, "Sei mesi fà" disse, "hai sparlato di me". Rispose l'agnello: "Veramente non ero ancora nato". "Allora fu tuo padre, per Ercole, a sparlare di me". E così lo afferra e lo sbrana, dandogli ingiusta morte. Questa favola è scritta per gli uomini che con pretesti gli innocenti opprimono.

La parte del Leone

Dell'alleanza col potente non ci si può fidare: questo dimostra la favola che segue. La mucca, la capretta e la pecora rassegnata ai torti si allearono nei boschi col leone. Avendo essi preso un cervo di gran mole, fece le parti il leone e così disse: "Io mi prendo la prima perché mi chiamo leone; la seconda me la darete perché sono forte, la terza sarà mia perché sono più potente; quanto alla quarta, guai a chi la tocca". Così l'intera preda si portò via da solo quel furfante.

La Volpe e la Cicogna

Non far del male; ma se uno ti offende, ripagalo della stessa moneta: è la morale della favola. Si dice che la volpe abbia invitato per prima a cena la cicogna, e che le abbia servito dentro un piatto un liquido brodino che quell'altra, pur affamata, non riuscì ad assaggiare in alcun modo. Ricambiato l'invito ella alla volpe, le pose innanzi un fiasco pieno di cibo tritato: infilandoci il becco ella si sazia, tormentando l'invitata con la fame. Mentre la volpe leccava invano il collo di quel fiasco, si narra le abbia detto l'uccello migratore: "Deve ognuno subire di buon grado quello di cui egli stesso ha dato esempio".

La Volpe e l'Uva

Una volpe affamata si sforzava di raggiungere l'uva di un'alta pergola saltando; ma non riuscì a toccarla; allora andandosene, "Non è ancora matura" disse; "acerba non mi piace". Chi sminuisce a parole quello che non gli riesce, dovrà applicare quest'esempio a sè.

Il Lupo magro e il Cane grasso

Quanto la libertà sia dolce, brevemente dirò. Un giorno un lupo emaciato dalla fame s'incontrò con un cane ben pasciuto. Fermatisi, dopo i saluti: "Dimmi, come fai ad essere così bello? Con quale cibo sei ingrassato tanto? Io, che sono molto più forte, muoio di fame". Il cane schiettamente: "Puoi star così anche tu, se presti al mio padrone ugual servizio"; "Quale?", chiese. "La guardia della porta, la custodia della casa dai ladri nella notte" "Ma io son pronto! Ora faccio una vita grama sopportando nei boschi nevi e piogge; quanto è più facile vivere sotto un tetto, starsene in ozio, saziandosi di abbondante cibo!" "Vieni dunque con me". Mentre camminano, il lupo vede il collo del cane spelacchiato dalla catena. "Amico, cos'è questo?". "oh, non è niente". "Ma ti prego, dimmelo". "Poichè sembro troppo vivace, mi legano di giorno, perchè riposi quando è chiaro e sia poi sveglio quando vien notte; al tramonto, slegato, me ne vado in giro dove voglio. Mi danno il pane senza che lo chieda; dalla sua mensa mi getta ossi il padrone; gettano pezzi i servi e quel che avanza del companatico. Così senza fatica il mio ventre si riempie." "Ma se ti vien voglia di andartene , è permesso?" "Ah, questo no", rispose. "Goditi quello che vanti, cane. Neanche un regno vorrei, se non libero".

Un aneddoto storico: Tiberio e lo Schiavo zelante

A Roma c'è una risma di faccendieri, sempre di corsa, occupati nell'ozio, che s'affannano a vuoto, impegnati a far nulla, molesti a sè e agli altri insopportabili. Vorrei correggerli, se fosse possibili, con un racconto vero: val la pena ascoltarlo. Il Cesare Tiberio, andando a Napoli, era giunto alla sua villa di Miseno, che, posta in cima al monte da Lucullo, guarda da un lato il mare di Sicilia e dall'altro l'etrusco. Uno degli usceri succinti, con la tunica di lino di Pelusio legata sotto le spalle, e con le frange che pendevano, mentre il padrone passeggiava nei bei giardini, con un innaffiatoio di legno prese a spruzzare il terreno riarso, ostentando lo zelante servizio; ma lo deridono. Allora prende le scorciatoie e corre avanti in un altro viale, a smorzare la polvere. Lo riconosce il Cesare e capisce. Quello sperava in una ricompensa; "Ehi tu!", disse il padrone. Quello accorre con un balzo,gongolante per il premio sicuro. Allora così scherzò del grande imperatore la maestà: "Non molto hai fatto, vana è la tua fatica: gli schiaffi costano assai più cari a casa mia" .